ORDINANZA CORTE DI CASSAZIONE N. 22432/2023 D.D. 25/07/23
Si segnala l’Ordinanza in oggetto indicata, la quale, in adesione ai principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea nella Sentenza dd. 12/05/2022 Causa C-714/20 – già oggetto di nostro precedente commento – e fatti propri dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 23526/2022, sembra aver ormai segnato la definitiva rottura con il pregresso orientamento espresso dalla medesima Suprema Corte, che, pur valutando di non poter includere l’Iva all’importazione fra i diritti di confine, affermava comunque la responsabilità solidale del rappresentante indiretto in dogana, unitamente all’importatore, per l’omesso pagamento della suddetta imposta, in quanto la stessa va pur sempre ricompresa tra gli oneri doganali da pagare all’atto dell’importazione (Cass. n. 11029/2021; n. 31611/2019; n. 9455/2018; n. 19749/2014, n. 7720/2013).
Tale principio, appunto, è stato messo in discussione dalla suddetta pronuncia della Corte di Giustizia UE, la quale ha affermato che l’articolo 77 CDU deve essere interpretato nel senso che il rappresentante doganale indiretto è debitore unicamente dei dazi doganali dovuti per le merci che ha dichiarato in dogana e non anche dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione per le stesse merci; sotto questo secondo profilo, in particolare, l’articolo 201 della Direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che non può essere riconosciuta la responsabilità del rappresentante doganale indiretto per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione, in solido con l’importatore, in assenza di disposizioni nazionali che lo designino o lo riconoscano, in modo esplicito e inequivocabile, come debitore di tale imposta.
La Corte di Giustizia, invero, ha affermato che:
spetta al giudice nazionale, unico competente ad interpretare il diritto nazionale, valutare, alla luce di tutte le disposizioni del diritto italiano, se tali disposizioni e, in particolare, gli articoli 34 e 38 del decreto n. 43/1973, l’articolo 3, secondo comma, del decreto legislativo dell’8 novembre 1990, n. 374, menzionato al punto 21 della presente sentenza, nonché gli articoli 1 e 70, primo comma, del decreto n. 633/1972, cui ha fatto riferimento il governo italiano, o l’articolo 2, primo comma, del decreto-legge n. 746/1983, citato dalla Commissione, designino o riconoscano esplicitamente e inequivocabilmente il rappresentante doganale indiretto come debitore dell’IVA all’importazione oltre che quale debitore – come risulta dai punti 42, 46 e 52 della presente sentenza – dei dazi doganali in solido con l’importatore che gli ha conferito un mandato e che esso rappresenta, conformemente all’articolo 77, paragrafo 3, e all’articolo 84 del codice doganale.
Ora, il Supremo Giudice italiano, dapprima con la citata pronuncia n. 23526/2022 e recentemente con l’Ordinanza in commento, sembra aver definitivamente concluso che
nell’ordinamento interno non esiste una disposizione che indichi, in maniera chiara e precisa, che il rappresentante indiretto in dogana debba rispondere anche dell’Iva importazione.
Ed invero, secondo la Suprema Corte, non possono considerarsi disposizioni di siffatto contenuto
né le disposizioni di cui agli articoli 34 e 38 TULD, in quanto l’iva all’importazione … non fa parte dell’obbligazione doganale, né quelle previste dall’art. 3, comma 2 del d.Lgs. n. 374/1990 o dagli articoli 1 e 70 comma 1 del DPR n. 633 del 1972, che individuano unicamente le modalità di riscossione e non anche i soggetti responsabili del pagamento, e neppure l’art. 2, comma 1 del d.l. 746 del 1984, convertito con modif. nella legge n. 17 del 1984, che riguarda l’omessa o falsa dichiarazione di intenti in caso di cessione da esportatore abituale ed è, quindi, inapplicabile alla fattispecie, non coinvolgendo in ogni caso, specificamente, il rappresentante indiretto dell’importatore.
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