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L’Unione europea è tra i principali produttori agroalimentari a livello mondiale, forte anche delle eccezionali risorse agricole, svolgendo, pertanto, un ruolo fondamentale nel garantire la sicurezza alimentare e, dunque, la tutela del consumatore.
Il funzionamento e lo sviluppo del mercato comune per i prodotti agricoli richiedono l’instaurazione di una politica agricola comune degli Stati membri, anche conosciuta con l’acronimo PAC. Quest’ultima costituisce un’intesa tra Unione Europea e Stati membri, gestita e finanziata dall’UE.
Per quanto concerne l’importazione di prodotti agricoli, si segnala che, in taluni casi, è richiesto il titolo di importazione (AGRIM), rilasciato dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale, secondo le modalità di cui al Regolamento delegato UE 2016/1237 della Commissione e al Regolamento di esecuzione UE 2016/1239.
Il titolo di importazione autorizza il richiedente ad importare il quantitativo di prodotto per il quale la richiesta è stata effettuata, entro un determinato periodo di validità.
Alcuni prodotti agricoli possono essere importati in esenzione totale o parziale dei dazi e, dunque, in ragione del riconoscimento di contingenti tariffari.
Di cruciale importanza nel settore agroalimentare è il bilanciamento tra la libera circolazione di prodotti agroalimentari e la tutela del diritto alla salute, quale diritto costituzionalmente garantito.
Di talché, nel caso di specie troverà senz’altro applicazione il Regolamento CE 2002/178 del Parlamento europeo e del Consiglio, così come modificato dal Regolamento CE 2006/575 della Commissione, il quale “stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare”.
Il Regolamento succitato si prefigge l’obiettivo di individuare e raggiungere un elevato livello di tutela della salute, nell’interesse degli operatori economici e del consumatore.
Ciò implica, anzitutto, l’adozione di misure specifiche di “analisi del rischio”, prevenendo, al contempo, l’introduzione di ostacoli ingiustificati alla libera circolazione degli alimenti. In caso contrario, si verrebbe a determinare un trattamento discriminatorio, in totale spregio dei principi fondamentali dell’Unione Europea e del nostro ordinamento.
Pertanto, le analisi dei rischi – attuate in base a tre componenti interconnesse, quali la valutazione, la gestione e la comunicazione del rischio– devono essere effettuate in modo indipendente, oggettivo e trasparente, nonché basate su informazioni e dati scientifici disponibili ed aggiornati.
Quando dall’analisi dei rischi non sia possibile pervenire con certezza alla conclusione secondo la quale quel prodotto alimentare e/o agroalimentare rappresenta un rischio effettivo per la salute umana, animale o vegetale, le restrizioni applicate all’importazione potranno giustificarsi in forza del principio di precauzione.
Per garantire la sicurezza alimentare – e, dunque, dei prodotti agroalimentari-, la cui responsabilità incombe in capo agli operatori del settore alimentare, si rende imprescindibile considerare la catena di produzione alimentare quale unico processo. In tal senso, si parla di “strategia dal produttore al consumatore”.
In un siffatto contesto, è altresì predisposta una normativa fitosanitaria specifica di derivazione internazionale, europea e nazionale.
Con particolare riferimento ai prodotti agroalimentari, si segnala l’adozione del sistema HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points), quale sistema di sicurezza alimentare che mira a prevenire, controllare e ridurre i pericoli associati alla produzione agricola e che in taluni casi implica il superamento di controlli veterinari e doganali alla frontiera, prima dell’immissione nel territorio dell’Unione. In Italia, tali controlli rientrano nella competenza del Ministero della Salute e sono effettuati presso i PCF (Posti di Controllo Frontalieri), per tali intendendosi gli Uffici veterinari periferici del Ministero della Salute – facenti parte dei PCF dell’Unione europea- che, dal dicembre 2019, con l’adozione del regolamento (UE) 2017/625 sui controlli ufficiali hanno sostituito i Posti d’Ispezione Frontalieri (PIF).
Per quanto concerne la dichiarazione di origine dei prodotti agroalimentari, viene in considerazione il Regolamento UE 2011/1169 del Parlamento europeo e del Consiglio e relativo “alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori”, emanato in ossequio all’art. 169 del TFUE, ai sensi del quale “l’Unione deve contribuire ad assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori mediante gli strumenti che adotta in virtù dell’articolo 114”.
Pertanto, così come espressamente previsto dai Considerando n. 3 e 5 del Regolamento de quo, lo scopo perseguito è quello di “ottenere un elevato livello di tutela della salute dei consumatori e assicurare il loro diritto all’informazione”, prevenendo azioni ingannevoli e omissioni di informazioni nonché fornendo ai consumatori finali le basi per effettuare delle scelte consapevoli.
Ai sensi del Considerando n. 29 del Regolamento in oggetto, inoltre, “le indicazioni relative al paese di origine o al luogo di provenienza di un alimento dovrebbero essere fornite ogni volta che la loro assenza possa indurre in errore i consumatori per quanto riguarda il reale paese d’origine o luogo di provenienza del prodotto. In tutti i casi, l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza dovrebbe essere fornita in modo tale da non trarre in inganno il consumatore e sulla base di criteri chiaramente definiti in grado di garantire condizioni eque di concorrenza per l’industria e di far sì che i consumatori comprendano meglio le informazioni relative al paese d’origine e al luogo di provenienza degli alimenti. Tali criteri non dovrebbero applicarsi a indicatori collegati al nome o all’indirizzo dell’operatore del settore alimentare”.
In occasione del webinar del mercoledì, sarà posta l’attenzione, oltre che sulle disposizioni relative all’etichettatura dei prodotti agroalimentari, anche sulle norme relative alla denominazione dell’alimento (art. 17) ed all’indicazione del luogo di origine e di provenienza del prodotto (art. 26)
Imprescindibile anche –e soprattutto– nel settore agroalimentare è la tutela del “Made in Italy”, attuata anzitutto attraverso l’art. 4, commi 49 e 49 bis della legge n. 350 del 2003.
La fallace indicazione del marchio di origine o di provenienza del prodotto può implicare, a seconda dei casi, l’irrogazione di una sanzione penale o amministrativa pecuniaria.
Il fenomeno degli alimenti indicati falsamente quali di origine o di provenienza italiana è in preoccupante aumento, soprattutto attraverso la pratica del c.d. “italian sounding”, ossia l’utilizzo di nomi, parole, immagini che richiamano il Bel Paese.
Tali pratiche concorrenziali scorrette – talmente gravose da essere qualificate quali “atti di pirateria” ai sensi e per gli effetti dell’art. 144 del Codice della proprietà intellettuale– sono attuate al fine di evocare elevati livelli qualitativi ed incentivare l’acquisto da parte del consumatore, il quale viene tratto in inganno credendo erroneamente che il prodotto sia di origine italiana.
Il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, di cui all’articolo 517 c.p., è suscettibile di configurarsi in concreto lungo tutta la filiera agroalimentare e solo fintantoché il prodotto non sia immesso in libera pratica, è consentito di sanare la fallace indicazione e la falsa indicazione sull’origine o la provenienza attraverso l’eliminazione, a spese e cura del contravventore, dei segni, figure e quant’altro sia idoneo ad indurre in errore il consumatore.
Responsabili di medio-alto livello di aziende che commerciano con l’estero.